giovedì 31 luglio 2008

Attenzione alle... Labbrate!

Se sentite qualcuno che vi dice: attento che ti do una labbrata... anche se non ne sapete il significato scansatevi....

Ebbene sì, eviterete così un bel manrovescio diritto in faccia, di quelli mirati sulla bocca che fanno un male da morire.

Labbrata significa infatti: colpo inferto sulle labbra con il dorso della mano. E' un modo di dire un po' desueto, ma i nonni fiorentini è possibile ancora sentirli dire:

"Se un tu sta' fermo ti do una labbra'a tu vedi!"

Traduzione

"Se non stai fermo ti do un ceffone e poi vedrai

venerdì 18 luglio 2008

Giotto grande pittore, ma brutto....

Forse non tutti sanno che Giotto, insigne pittore ed autore del magnifico campanile di Firenze era un tipo molto brutto da morire e veniva da un contado dove, la deformità e le menomazioni erano all'ordine del giorno... Probabilmente causate da lavori pesanti, epidemie, mancanza di medici e di dentisti...

Fatto stà però che anche in città, a quei tempi la bellezza era cosa rara...
Forse per questo veniva cantata continuamente dai poeti!

Ma torniamo a quest'ometto piccolo e dall'aspetto sgradevole, ma arguto e con la battuta pronta, che si chiamava appunto Giotto.

Era figlio del contadino Bondone e veniva da Vespignano nel Mugello. La data della sua nascita, che si presume sia nel 1267, come del resto tutta la ricostruzione della sua vita è un enorme rebus.

Scoperto dal Cimabue, se è vera la leggenda, giunse a Firenze in un periodo di grande trasformazione sociale, dovuto all'enorme trasferimento di massa dalle campagne alla città, che fece di Firenze una delle maggiori d'Italia e d'Europa.
Gran lavoratore, furbo e affarista, Giotto riuscì ad interpretare i bisogni della borghesia emergente, e dette una svolta alla pittura, con un realismo che rifletteva la concretezza della vita.

Nel 1290 l'artista sposò Ciuta di Lapo del Pela, dalla quale ebbe otto figli più brutti di lui! Sempre nello stesso anno partì per Assisi, dove lavorò nella Basilica Superiore lasciando il segno negli affreschi delle "Storie di San Francesco".

Come una trottola con il pennello in mano, Giotto si spostò da una città all'altra.
Arriva a Roma verso la fine del Duecento, e dal 1302 al 1305, nella Cappella dell'Arena a Padova.
Un antico cronista racconta che l'uomo più ricco della città, Enrico degli Scrovegni, aveva fatto costruire la cappella per espiazione dei peccati del padre; il genitore infatti, era stato in carcere per usura e si guadagnò un posto fra i dannati nell' "inferno" del sommo poeta.
Realizzato il capolavoro a Padova, Giotto riprese a girare; ancora Assisi, Firenze, poi nel 1328 Napoli al servizio di Roberto d'Angiò. Nel 1330 il sovrano lo nominò suo "familiare" e due anni dopo gli assegnò una pensione annua.

C'è da credere che tra l'onore e la pensione, egli avesse preferito la seconda; infatti il pittore era famoso per il suo attaccamento al denaro, e non fa meraviglia che affittasse telai e tessitori troppo poveri per comprarseli, esigendo un tasso incredibile: il 120 per cento!

Nel 1334 Giotto iniziò a Firenze la costruzione del campanile accanto al Duomo.
Anche se iniziava ad essere abbastanza anziano, non si dedicò solamente a quello. Trovò anche il tempo per andare a Milano, chiamato da Azzone Visconti.
Ritornò a Firenze, dove morì l'8 gennaio del 1337 e fu sepolto in Santa Maria del Fiore (pratico com'era ebbe anche una tomba uscio e bottega).

Ma parliamo della scala segreta del campanile di Giotto. E' quella originaria, poi abbandonata, che percorreva i primi piani. Veniva usata dai chierici, quando non esisteva ancora la porta sulla piazza e l'accesso al campanile avveniva esclusivamente dal Duomo, attraverso un ponticello di legno a circa quattro metri e settanta d'altezza.

Il primo documento che attesti l'esistenza del passaggio è una delibera del 26 dicembre 1397 per alcuni lavori da eseguire "subtus arcum et voltam". Il ponticello serviva, soprattutto, per chi doveva andare a suonare le campane; ma nel 1431 era già inutile e pericolante. Ormai nel campanile si entrava tranquillamente dalla porta.

Così il passaggio fu demolito, mentre fu dato ordine di restaurare i due archi dove erano gli ingressi, e la sepoltura della famiglia Ferrantini, che fu danneggiata durante l'abattimento del ponicello.

giovedì 17 luglio 2008

Ceccotoccami

Per un non toscano quasi uno scioglilingua, ma non è niente, c'è di peggio....

Il Ceccotoccami è una persona molto, molto fastidiosa. E' uno di quei tipi che giocano con i tuoi nervi continuamente che fanno dispetti con il preciso scopo di provocare e farseli rifare.

Dire tu sei un ceccotoccami lo si dice sopratutto ai bambini dato che questo modo di agire è una caratteristica dell'età dell'infanzia è tipico infatti il dirsi:
"L'ha fatto proprio bene a rendirtele, così tu' impari a fare i'ceccotoccami!" Tradotto vuol dire: ha fatto proprio bene a rendertele no fai che provocare.

Da questo modo di dire nasce una tipica frase che è : "Cecco toccami, che la mamma un' vede!"

martedì 8 luglio 2008

Ferdinando: il tedesco che parlava toscano...

Ferdinando fu il figlio dell’ultimo Granduca di Toscana ed è passato agli onori delle cronache per non essere mai riuscito ad imparare il tedesco…

Non salì mai sul trono di Toscana perchè fu costretto, insieme al padre e agli altri familiari, a fuggire da Firenze e dall’amata Toscana il 27 aprirle 1859.

Lo fece con grandissima tristezza perché amava la nostra terra, perchè qui era nato e crescito, perchè qui aveva da poco seppellito la giovane moglie – morta di tifo durante un soggiorno a Napoli – nella Cappella Lorena in San Lorenzo.

Era un grande ed insospettabile appassionato di fotografia, la nuova arte imparata a Pisa andando a lezione da Van Lint con il quale aveva partecipato ad una grande campagna fotografica in occasione dell’inaugurazione delle linee ferroviarie granducali; uno dei più preziosi gioielli che i principi austriaci ci hanno lasciato in eredità.

Come suo padre, il famoso “Canapone” che altri non era che il Granduca Leopoldo II di Lorena soffrì moltissimo per tutta la vita la lontananza da Firenze dove era nato e cresciuto tant’è che nella sua pur sontuosa dimora di Salisburgo aveva praticamente ricreato una copia di Palazzo Pitti, ma soprattutto non riuscì mai ad imparare la lingua tedesca e si esprimeva solo in fiorentino…

Fare i salamelecchi...

E' un modo di dire tipicamente fiorentino. Fare i salamelecchi vuol dire avere la brutta abitudine di rivolgersi agli altri in maniera eccessiva, usando un ridicolo cerimoniale enfatico di saluti, gentilezze, adulazioni ed inchini...

Attenzione, quando i fiorentini però fanno "i'salamelecchi" spesso lo fanno per prendere in giro..

L'espressione viene direttamente dalla religione islamica dove "Salam alait" significa, la pace sopra di te.